Lunedì 16 marzo 2020, ore 9.00, piena emergenza Coronavirus. Scrivo in ufficio, dove di solito lavora Giulia, e lo studio che dorme mi sembra così strano.
Irreale.
Di solito a quest’ora le assistenti lavorano già da un po’, sistemano gli strumenti sterilizzati, aprono il gestionale con le cartelle dei pazienti della giornata e io smanetto al microscopio. Sta per iniziare una giornata di clinica frenetica, interventi da realizzare, persone da curare.
Oggi no. Oggi sono solo.
Sono solo per rispondere ad eventuali urgenze, per decreto l’Italia è chiusa per contrastare questa vera e propria pandemia, e chissà quando potremo riaprire.
La paura di un male atavico, “la pestilenza”, unito alla paura della crisi economica, dei posti di lavoro che si perderanno, degli aiuti statali ed europei che chissà se arriveranno, fanno stare male.
Io per primo.
Non posso negarlo: ho paura, e tanta. E non è irrazionale, è l’analisi logica di una situazione complessa.
Ma resto qui.
Resto al mio posto perché se un mio paziente ha mal di denti mica più aspettare la fine della pandemia, resto al mio posto per rassicurare clienti e dipendenti: noi riapriremo. Più forti di prima.
Ci tengo a scrivere queste poche righe perché voglio che sia chiaro: anche se siamo spaventati, anche se non sappiamo quando questa crisi cesserà, NOI RIAPRIREMO.
E in realtà non ho mai chiuso, sono sempre qui. Senza assistenti e senza pazienti, ma resto qui a dare un segnale piccolo ma forte.
Noi tutti ci rialzeremo.
Posto che dobbiamo stare a casa e uscire il meno possibile, penso che dobbiamo trovare un modo ecologico (passami il termine) per far trascorrere questo tempo.
L’uomo moderno (io per primo) ha il problema del tempo: non siamo più abituati ad averne in abbondanza e a disposizione, viviamo una vita congestionata e cadenzata dove siamo abituati ,in modalità Amazon prime, ad avere tutto e subito, massimo un giorno di consegna.
Questa situazione ci fa scontrare con l’ineluttabilità della vita e della natura: l’uomo nuovo, l’uomo super sapiens, l’uomo digital nella sua grandezza non può far altro che aspettare.
Aspettare che la biologia e la ricerca facciano il loro corso.
E quindi il tempo. Cosa facciamo? Ci stordiamo su Netflix? Scrolliamo in modo compulsivo la timeline di Facebook alla ricerca di novità? Impazziamo dietro mille chat su whatsapp?
Io credo che tutto questo sia tossico. Che in una situazione di malattia abbiamo necessità di proteggere il nostro sistema immunitario emozionale. Dobbiamo fare silenzio, pulizia, e concentrarci.
E non dobbiamo commettere il peccato di lasciar passare infruttuoso questo tanto tempo che la sfortuna ci ha confezionato.
Io personalmente rimango quindi in studio per aiutare chi ha bisogno, per dare un segnale di continuità e di resistenza ai miei dipendenti e ai miei pazienti, per ritagliarmi uno spazio efficiente per i progetti futuri.
Non dobbiamo arrestare la nostra produttività
Quindi stiamo attenti e calmi.
Stai al sicuro in casa, esci il meno possibile, spengi i social e ascolta il meno possibile notizie ansiogene. La conta macabra quotidiana di colpiti e caduti non ti serve a superare questa fase. Tutto questo finirà, ci saranno purtroppo famiglie che piangeranno i loro morti e chi rimane, la maggior parte per fortuna, ha il dovere morale e patriottico di non lasciare che l’Italia affondi. La nostra vita è cambiata e cambierà in maniera irreversibile, ma sta a noi avere la forza per guidare e non subire questo cambiamento, per uscire ancora più vivi da una paura simile.
Forza e coraggio.
Riccardo
Se vuoi approfondire https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/
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